Telemedicina ambulatoriale privata: il 58% delle strutture dice "no"
Al di là degli obiettivi individuati nella Missione 6 del PNRR, ancora molti sono gli ostacoli che rallentano la diffusione della telemedicina.
Dall’indagine condotta da Fondazione Bruno Visentini in partnership con Iss e Fasdac arriva una prima fotografia per capire come le strutture sanitarie ambulatoriali private si rapportano con questo strumento.
Lo sviluppo della telemedicina e la sua affermazione come strumento cardine della sanità del prossimo futuro costituiscono uno dei punti focali della Missione 6 Salute del PNRR.
Nella sua Componente 1 "Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale", il Piano si pone l’obiettivo di potenziare il Servizio sanitario nazionale anche attraverso lo sviluppo della telemedicina e dell’implementazione di soluzioni a sostegno dell’assistenza domiciliare rivolgendosi primariamente a pazienti con malattie croniche. L’obiettivo dichiarato è assistere 200.000 pazienti in telemedicina entro il 2025.
Superato un facile ottimismo da tecno-entusiasti e anche un certo fideismo verso la tecnologia, nato quando la clausura pandemica l’aveva fatta percepire come panacea di tutti i mali, ci appare sempre più chiaro come la strada per una piena diffusione della telemedicina nel nostro Paese sia ancora lunga e lastricata di sfide.
Ancora più irta è la strada per la diffusione della "corretta" telemedicina, ovvero una telemedicina non intesa ancora come uso di e-mail e messaggistica telefonica, bensì come modalità di erogazione conforme ai dettami delle linee guida vigenti.